Dal 26 settembre è in vigore il decreto legislativo 3 settembre 2020, n. 116, che recepisce le nuove direttive europee sull’economia circolare. Si tratta di una nuova pagina per le politiche sulla sostenibilità in un periodo storico nel quale la pandemia ha reso ancora più urgenti i cambiamenti dei modelli di sviluppo economico, della produzione e dei consumi nel segno della sostenibilità.
Il decreto 116, che modifica notevolmente il decreto 152 (il c.d. Testo Unico Ambientale) ridisegna il quadro normativo nel settore dei rifiuti e introduce la definizione di “regime di Responsabilità Estesa del Produttore” (EPR): “una serie di misure adottate dagli Stati membri volte ad assicurare che ai produttori di prodotti spetti la responsabilità finanziaria o organizzativa della gestione della fase del ciclo di vita in cui il prodotto diventa un rifiuto”. Il fine ultimo – si legge nella direttiva appena recepita - è quello di “avanzare verso un’economia circolare europea con un alto livello di efficienza delle risorse”. Ma cosa cambia davvero? La responsabilità finanziaria e organizzativa che finora ha riguardato solo gli imballaggi e alcune particolari tipologie di prodotti va ora estesa a tutti i prodotti di massa affinchè, una volta divenuti rifiuti e giunti al termine del loro ciclo di utilità, possano diventare nuove risorse da utilizzare. Ma per far questo occorrono dei decreti attuativi da parte del legislatore nazionale che si auspica vengano emanati in tempi rapidi per assoggettare a responsabilità del produttore tutte le tipologie di prodotti che, una volta giunti a fine vita, vanno nel computo dei rifiuti urbani. La responsabilità del produttore con i relativi oneri finanziari, dunque, non riguarderà più soltanto gli imballaggi (che rappresentano meno del 30% dei rifiuti urbani) ma dovrà estendersi ad altre tipologie. I produttori sono chiamati, attraverso una responsabilità finanziaria e organizzativa, che può essere attuata in forma individuale o collettiva, a gestire il fine vita dei prodotti da loro stessi immessi al consumo.
Viene poi incentivata molto la prevenzione a monte per minimizzare la produzione di rifiuti (attraverso la previsione di un Programma nazionale di prevenzione che potrà fissare obiettivi quantitativi) il riutilizzo, la riparazione dei prodotti e la restituzione del prodotto giunto a fine vita nel punto vendita.
Grandi novità anche per quanto riguarda l’assimilazione dei rifiuti. Grazie alla nuova definizione di rifiuti urbani prevista dall’art. 183 che troverà applicazione dal 1 gennaio 2021 i comuni non potranno più assimilare i rifiuti speciali agli urbani attraverso i regolamenti comunali di igiene urbana in quanto i rifiuti urbani, che prima erano assimilabili agli urbani per quantità e qualità, diventano semplicemente urbani quando sono “simili per natura e composizione ai rifiuti domestici”. Si tratta dei rifiuti indicati nell’Allegato L quater (15 tipologie) prodotti dalle utenze indicate dall’Allegato L quinques (29 categorie di attività). Un’assimilazione che dunque deriva direttamente dall’incrocio tra 15 tipologie di rifiuti con 29 categorie di attività. A titolo di esempio: in precedenza carta e cartone erano rifiuto urbano se prodotti da una famiglia, mentre erano rifiuto speciale se prodotti da un’impresa (anche se il comune aveva la possibilità di disporne l’assimilazione ai rifiuti urbani). Adesso, con la nuova definizione di rifiuti urbani di cui all’art. 183, carta e cartone sono rifiuti urbani anche se prodotti da un’impresa, ad eccezione delle industrie (categoria non compresa nell’elenco delle attività elencate dall’Allegato L quinques).
Altra novità riguarda la possibilità che le imprese possono conferire al di fuori del servizio pubblico (dunque fuori dalla privativa comunale) i propri rifiuti urbani anche se non è ancora chiaro se le imprese che si rivolgono al gestore privato siano comunque tenute al pagamento della quota fissa della tariffa, aspetto su cui è auspicabile quanto probabile un rapido chiarimento.